Sguardi Puri 2016 - IL CLUB (EL CLUB)

27/04/2016  16:00 -  21:00

27/04/2016

Cinema Teatro Politeama
Corso Cavour 20, Pavia
Accessibile
Eventi per: Per tutti0-99
Il Club

Info

Rassegna "Sguardi Puri"
Prezzo ingresso: Ingresso intero 5 EURO, ridotto AGIS e anziani 4 EURO, fino a 26 anni 3 EURO

Organizzato da

Comune di Pavia - Assessorato alla Cultura
Telefono: 0382/399770
E-mail: cultura@comune.pv.it
 
Cinema Teatro Politeama
Corso Cavour 20, Pavia

mercoledì 27 aprile ore 16 e ore 21
Orso d’argento Berlinale 2015
IL CLUB (EL CLUB)

Regia Pablo Larrain,
interpreti Roberto Farías, Antonia Zegers, Alfredo Castro, Alejandro Goic, Alejandro Sieveking,
origine Cile 2015,
durata 98'.

“E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre” (Genesi 1, 4-5)

La Boca de l'Inferno, costa del Cile, oggi. In una casa indipendente di un minuscolo borgo di mare abitano quattro preti sconsacrati ed una suora. Ciascuno di loro ha, a modo suo, “profanato la sacralità della vita”. Qualcuno è accusato di pedofilia, qualcuno di aver “venduto” bambini di poveri a famiglie ricche, qualcuno ha tradito la fiducia di chi credeva in lui... E poi c'è Sandokan, un homeless che non ha perso tutto, semplicemente perché non ha mai avuto niente. Padre Lazcano ha approfittato di lui e lui oggi lo segue ovunque, anche a La Boca, dove Lazcano è appena stato trasferito. Sandokan lo perseguita come un male, lo consuma da dentro, provocando l'irreparabile. Ecco allora arrivare alla casa un nuovo personaggio, padre Garcia, che, gesuita e psicologo (ma anche giovane e bello) dovrà fare chiarezza sul mistero. Una macchina da presa che inquadra orizzontalmente e alla stessa altezza i suoi protagonisti.

L'impianto claustrofobico di un film che non risparmia nessuno, vittime e colpevoli, perché tutti in fondo abbiamo qualcosa da farci perdonare. Un peccato commesso nel passato, che come un cadavere affiora per metterci di fronte alla nostra colpa. Tutti questi temi e molti altri ancora in El Club di Pablo Larrain, Orso d'argento ancora inedito in Italia a più di un anno dalla sua anteprima mondiale alla Berlinale 2015, dove vince tra l'altro l'Orso d'argento (troppo disturbante per un Oro anche nella laica Germania?).

Larrain continua il suo percorso. Dopo Tony Manero, Post Mortem e No il regista toglie la maschera ad altri artefici della “banalità del male”. E se Raul Peralta costruiva pazientemente la location più verisimile per il suo eroe della Febbre del Sabato Sera, qui alcuni ex preti, che dovrebbero scontare in prigione i loro delitti, fanno correre i cani nelle corse d'azzardo, alimentano il culto della propria personalità, coltivano imperterriti il male e una morale misera, ma soprattutto usano ogni anima gentile per il proprio piacere (v. la lezione del “divino” marchese).

Ora, ammettiamolo, un film del genere potrebbe facilmente incappare nell'eterno rischio di estetizzazione del vizio, soprattutto se lasciato nelle mani di un demiurgo cinematografico alla ricerca della propria più autentica identità. Ma, miracolo, non è così per Il Club, in cui lo sguardo della vittima trova sempre quello del carnefice, senza neppure uscire da sé. La collusione tra esercito, aguzzini delle camere di tortura e alte gerarchie cattoliche durante la dittatura trovava conferme in dossier che si sono persi o son stati distrutti. E allora? È nella natura dell'uomo l'angustiare il proprio simile.

L' homo homini lupus si sostituisce all'homo homini Deus. La luce non trova via nelle tenebre. Questi corpi grevi si muovono a fatica nel chiarore indistinto di albe sul mare, che non riusciamo ad apprezzare come belle. Le lacune si sommano alle omissioni ed il giudizio è cristianamente demandato ad altri e, se la colpa comunque sfinisce, sarà proprio Sandokan, il frutto cioè di questa colpa, a riservare le sorprese più sconvolgenti. Fin qui il primo livello di lettura dell'opera. Ma chi ci dice che dietro la villetta non si celi un paese, il Cile, profondamente diviso e unito da vittime e carnefici? Chi ci dice che questi progressivi aggiustamenti di prospettiva non siano in realtà forieri di un agognato nuovo ordine? Chi ci rassicura insomma che El Club non sia altro che una potente metafora di qualcosa di ben più grande, e importante, e doloroso? Ammettiamolo, proprio nessuno.

D'altronde le stesse scelte formali di Larrain sembrerebbero testimoniare l'opposto. Con quei vecchi obiettivi di produzione russa (lui sostiene gli stessi di Tarkovskij) adattati alle nuove mdp digitali. E i risultati sono “sotto gli occhi” di tutti.

Originale, morale, illuminante.