Stagione d'Opera 22/23 - Norma di Vincenzo Bellini

21/10/2022  20:30

Teatro Fraschini
Corso Strada Nuova 136, Pavia
Accessibile
Eventi per: Per tutti0-99
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Info

Prezzo ingresso: www.teatrofraschini.it

Organizzato da

Fondazione Teatro Fraschini
Telefono: 0382.3711
E-mail: biglietteria@teatrofraschini.org
 
Teatro Fraschini
Corso Strada Nuova 136, Pavia

Norma di Vincenzo Bellini è la seconda opera in programma al Teatro Fraschini, diretta da Alessandro Bonato per la regia di Elena Barbalich.
Venerdì 21 ottobre 2022, alle ore 20.30.
Replica domenica 23, ore 15.30.

In scena Martina Gresia nella parte di Norma; Asude Karayavuz e Veta Pilipenko (Adalgisa) Antonio Corianò nella parte di Pollione; Alessandro Spina nelle vesti di Oroveso; Benedetta Mazzetto (Clotilde), Raffaele Feo (Flavio).

Coproduzione dei Teatri Operalombardia Teatro Fraschini di Pavia, Teatro Grande di Brescia, Teatro Ponchielli di Cremona, Teatro Sociale di Como, Teatro Verdi di Pisa

Colpito profondamente dalla storia narrata in «Norma ossia l'infanticidio» di Alexandre Soumet, Vincenzo Bellini pensò di adattarla alle scene melodrammatiche italiane e chiese la collaborazione del librettista Felice Romani. Nell'arco di pochi mesi realizzò una delle sue opere più ispirate che venne rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre del 1831. L'accoglienza iniziale del pubblico e della critica fu piuttosto fredda, ma alla fine delle repliche previste, l'opera fu apprezzata.

Il Direttore Alessandro Bonato è direttore principale della FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana, il più giovane a ricoprire tale ruolo nelle tredici Istituzioni Concertistico Orchestrali italiane. Nel 2022 debutta al Musikverein di Vienna sul podio della Wiener Concert-Verein e allo Sferisterio di Macerata con una produzione del Barbiere di Siviglia.

Elena Barbalich firma la regia: veneziana, si laurea in Lettere all'Università di Ca' Foscari con il massimo dei voti con una tesi sulla storia della rappresentazione dell'opera Aida di Giuseppe Verdi al Teatro alla Scala di Milano. Parallelamente segue un corso di recitazione al Teatro all'Avogaria di Venezia e approfondisce la sua formazione musicale con lo studio privato del pianoforte e del canto corale. Comincia a lavorare nel campo del teatro lirico come aiuto regista collaborando con Giorgio Marini e Italo Nunziata nei maggiori teatri italiani quali la Fenice di Venezia, l'Arena di Verona, il Regio di Torino, il Carlo Felice di Genova, il Comunale di Bologna, il San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo. Realizza numerose regie tra le quali, per Operalombardia, Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota (2011), Rigoletto di Verdi (2017), Macbeth (2019).

La protagonista è interpretata da Martina Gresia, che inizia giovanissima gli studi musicali con il Maestro Massimiliano Damato e studia canto lirico col soprano Nunzia Santodirocco. A soli 19 anni vince il Primo Premio Assoluto nei concorsi lirici internazionali "Jole De Maria" e "Ottavio Ziino"; l'anno successivo si aggiudica il Terzo Premio al concorso lirico internazionale "Voci Verdiane città di Busseto". È selezionata dalla Fondazione Pavarotti, con la quale collabora attivamente dal dicembre 2017. Il 26 agosto 2018 fa il suo debutto assoluto all'Arena di Verona nell'ambito della Verdi Opera Night diretta dal Maestro Andrea Battistoni, con la regia di Stefano Trespidi. Nel Febbraio 2022 vince il Concorso Lirico Internazionale AsLiCo, presso il Teatro Sociale di Como, con una giuria d'eccezione presieduta da Dominique Meyer, per il ruolo di Donna Anna nel Don Giovanni.

La stagione, con informazioni, prezzi e approfondimenti, su www.teatrofraschini.it

BIGLIETTERIA Giorni e orari di apertura della Biglietteria del Teatro (C.so Strada Nuova 136): dal lunedì al sabato dalle ore 16:00 alle ore 19:00. Tel. 0382 371214 biglietteria@teatrofraschini.org

RIFLESSIONI SULLA NORMA

Nel momento in cui si affronta una partitura come Norma ci si rende subito conto di essere di fronte ad una pietra miliare del repertorio operistico, nonché, a mio avviso, ad una delle opere più complesse in assoluto. E la complessità deriva dal fatto che Norma non è chiaramente catalogabile e inscrivibile in un preciso contesto semantico. Essa è infatti una sorta di congiunzione tra un "prima" e un "dopo": richiama per molti aspetti la nitidezza della scrittura e della forma tipiche del periodo classico, ma allo stesso tempo evoca la forza drammatica (il pianto su tutto) e lo spirito di guerra, ribellione e vendetta che ritroveremo in autori come Verdi o Puccini.

Ho riflettuto molto a fondo su 3 aspetti principalmente. Il primo è la quasi totale assenza di tempi lenti: ci sono, infatti, solo 2 "Largo" in tutta l'opera, quasi a voler indicare un'azione drammatica vorticosa, come a non voler prendere fiato, dove non si ha il tempo di somatizzare un avvenimento che subito ne accade un altro a destabilizzare. Una sorta di turbinìo emozionale nel quale si entra all'inizio e si esce solo alla fine, senza respiro.

Il secondo aspetto è la meticolosità con cui Bellini descrive le agogiche; abbiamo infatti almeno 7 tipi di "allegro": assai, moderato, molto, marziale, maestoso, agitato, agitato assai (che è anche l'indicazione più frequente nell'opera assieme al "moderato", anch'esso puntualmente differenziato in grave, sostenuto, sostenuto assai, marcato, ecc...). Questo mi fa pensare che, in questo vortice drammatico e pur nella velocità, ogni affetto deve essere ben distinto da quello precedente e successivo: ogni azione deve necessariamente avere il proprio pathos, specifico e univoco.

Il terzo punto che mi ha colpito è l'uso delle tonalità, in particolare quella maggiore, universalmente riconosciuta come solare, allegra, vivace. Bellini usa la tonalità maggiore in momenti dove non mi sarei mai aspettato, ricchi di negatività, di barbarie, di menzogna, come a voler indicare che, sotto sotto, in una azione spregevole c'è sicuramente chi soffre, ma anche chi, nell'averla compiuta, ne guadagna qualcosa (o almeno così pensa).

Alessandro Bonato

"La donna è di solito piena di paura, e inadatta alla lotta e repugna alla vista di un'arma; ma se offesa nei suoi diritti di sposa, non c'è altro cuore più del suo assetato di sangue."

Euripide, Medea

Nell'affrontare la creazione della messinscena di Norma, ho individuato nell'opera un possibile punto di passaggio, che trasporta l'opera dalla dimensione classica a quella romantica, dove il rogo finale rappresenterebbe un punto di non ritorno. Il dato notevole risulta la data: 1831. Il melodramma di Bellini sembra quasi concentrarsi su di un passaggio significativo, quello che fa confluire un mondo ancora legato al gusto neoclassico in una dimensione a mio avviso potentemente romantica. Temi, caratteri, stili apparentemente antitetici, trovano in quest'opera la loro collocazione perfetta nell'assunto drammaturgico in cui una popolazione celtica, i galli, si trova dominata dalla colonizzazione romana. In questo contesto i due protagonisti Norma e Pollione, appartenenti alle due gens nemiche, si uniscono in una relazione dal carattere estremamente passionale e tormentato. Interessante è la fonte di derivazione: Norma ou l'infanticide di Soumet, tragedia dalle tinte foschissime, in cui la protagonista è sempre descritta con gli occhi sbarrati in uno stato di perenne concitazione che alla fine la condurrà alla pazzia e all'infanticidio. Norma è quindi una sorta di Baccante, una furiosa Medea, apparentemente diversa dal carattere del personaggio di Bellini che, in linea con Felice Romani, voleva stemperare i toni fortemente chiaroscurali di Soumet. In realtà, ad un più attento ascolto e ad una più oculata analisi del personaggio, mi è parsa evidente la forza prorompente del carattere della sacerdotessa, in tutte le innumerevoli sfaccettature delle sue reazioni emotive e in tutte le sfumature dei suoi stati psichici. Il personaggio sembra ardere in una condizione di tormento costante, eccezione fatta per il momento sacrale e celebrativo di Casta Diva, quando, investita dal suo ruolo di sacerdotessa druidica, sembra pararsi in una dimensione di iconica compostezza. Non è un caso che si tratti della prima apparizione del personaggio, che già nella cabaletta contraddice il carattere appena scolpito classicamente in un'immagine di immobile ed imperitura bellezza. Norma è peccatrice, vendicativa, tradita e traditrice, madre fedifraga ed eccessiva in tutte le sue manifestazioni. Sembra del tutto imprevedibile e tutta la tensione del dramma è determinata dall'oscillazione tra i suoi propositi spesso nefasti e le sue azioni reali. Il personaggio è sempre infatti sospeso sull'abisso del colpo di scena, che alla fine invece verrà attuato inaspettatamente da Pollione, tenore antieroico e per questo anomalo nel panorama operistico del tempo. Trovo quindi appassionante il modo in cui Bellini, sempre strenuamente fedele alla ricerca della bellezza della scrittura vocale, riesce ad innervare tutta l'opera di un fuoco di passioni brucianti, che non a caso conflagreranno nel rogo finale, in cui anche il seduttore nemico e tutto il suo mondo veranno divorati. Di fatto Norma è un'opera quasi intimistica, concentrata su scene densissime a due o a tre, dove si creano situazioni di grande intensità emotiva, per cui Felice Romani denominava l'opera "tragedia lirica". Sembra quindi interessante l'assonanza del dramma con le forti tinte di antiche tragedie quali Medea e il suo essere al contempo immersa in un'atmosfera che sembra lasciare ampio spazio all'immaginario romantico. Mi ha colpito il fatto che la vicenda si svolga nel mondo druidico, pervaso di esoterismo e di una concezione animistica della natura, a cui fa da contraltare la presenza di una dominazione romana tanto potente quanto invisibile. In effetti, nonostante la colonizzazione del territorio gallo sia un potentissimo dato di fatto dell'assunto drammaturgico, nell'opera, a parte la sparuta apparizione di Flavio che accompagna il protagonista, non c'è traccia del popolo nemico, se non attraverso efficacissimi effetti fuoriscena, come se tutto venisse percepito dall'interno delle segrete radure dove i galli si riuniscono per celebrare i loro riti magici. Ho percepito quest'assenza come un'incongruenza, memore della prima Norma in cui ho lavorato come assistente alla regia in Arena di Verona, in cui il grandissimo Herzog aveva disseminato le scalinate dell'anfiteatro di decine di coorti romane. Spesso le contraddizioni drammaturgiche risultano stimolanti e sono proprio i controsensi a mettere sulla strada di una possibile chiave di lettura. Tornando quindi alla data e alle scelte coraggiose di Bellini per affacciarsi a nuove possibilità nel campo della composizione operistica (finendo il primo atto con un terzetto e influenzando Wagner nel finale del Tannhäuser, nonché Verdi e il grande melodramma italiano a venire), ho immaginato Norma come un varco, che transita l'opera in una nuova era. L'amore di Norma ed Adalgisa per Pollione rappresenta per me quasi una lacerante nostalgia nei confronti di una dimensione che sta scomparendo e che permane sulla scena solo in forma di simbolo totalmente svuotato, rappresentando quel mondo classico che aveva dominato con Napoleone, ma che noi ricondurremo astrattamente a possibili evocazioni di altre epoche. La presenza di Roma verrà quindi descritta attraverso una dimensione nera, piatta, ordinata che rappresenta un universo maschile contraddistinto da una linearità fredda e astratta, cercando di far sentire la presenza di quel popolo invasore come residuo di un'estetica ormai languente. L'amore di Pollione per Adalgisa sembra connotarsi emblematicamente come la predilezione verso un'armonia ancora basata sulla grazia e il decoro. A questa si contrapporrà il mondo dei druidi, una dimensione femminile lunare, organica, esoterica, misteriosa, che alla fine fagociterà l'altro mondo in un fuoco che sembra aprire lo spazio di Norma su un cosmo wagneriano di divinità e walchirie. È interessante notare quanto residui della cultura celtica si insinuino a configurare una parte consistente dell'immaginario romantico soprattutto nordico, profondendo tutto il suo fascino nella letteratura europea del tempo. Quell'immaginario deriva dalla trasformazione delle divinità celtiche nel popolo di fate, folletti, gnomi, maghi e streghe che affollano la letteratura fantastica di quel periodo. Norma si trova quindi nella mia interpretazione sul crinale tra queste due dimensioni culturali dell'Ottocento italiano ed europeo, passaggio che intendiamo rappresentare però attraverso la sensibilità del nostro tempo. Per lo spazio di Norma ho pensato anche all'importanza della maternità connessa al culto della Dea Madre (Ceridwen nella religione celtica, che tra l'altro aveva due figli e si identificava con la luna, per cui Norma in Casta Diva sembrerebbe in effetti celebrare il culto di questa divinità) e quindi all'importanza di Norma come madre. L'idea della madre è connessa anche a quella di terra e di natura. Per questo abbiamo caratterizzato il mondo dei Druidi attraverso un'istallazione che rappresenta un'entità affettiva e al contempo biologica, un'essenza incantata e impalpabile, una presenza sovrannaturale, organica, quasi viva, di cui il coro e lo stesso Oroveso sembrano un'emanazione, lungi dall'essere rappresentati come una società descritta realisticamente nella sua complessità gerarchica. Questa materia vivente respirerà con gli eventi rappresentati: un mondo indistinto e corporeo, quello delle passioni di Norma che bruceranno lo spazio rigido di Pollione spalancando il confine dell'opera sul melodramma del futuro. Importante sarà il contrasto tra le scene in cui appare la dominazione romana, come una traccia esangue di un mondo ormai morente e gli spazi adibiti al cosmo druidico, popolato da cerchi, ombre, presenze, organismi semoventi e multiformi, tutto sempre attraverso un gioco d'ombre e di riflessi al tramonto di una civiltà moritura e all'alba di una nuova era.

Elena Barbalich