Gravità e anima

10/02/2022  18:00

Galleria Marco Fraccaro "Sala Mostre", P.zza F.lli Cairoli, 1, Pavia
Accessibile
Eventi per: Per tutti0-99
Collage di foto con particolari di legna e tronchi

Organizzato da

Collegio Cairoli
Telefono: 0382223746
E-mail: cairoli@edisu.pv.it
 
Galleria Marco Fraccaro "Sala Mostre", P.zza F.lli Cairoli, 1, Pavia

Mostra di Romano Bertuzzi

di Eugenio Gazzola

Nel corso del tempo il lavoro di Romano Bertuzzi si è rarefatto. Come se l'anima della natura, e non le creature e le cose che fino a non molto tempo fa riempivano le sue tele, avesse preso il sopravvento. Evocati e dispiegati in ampi squarci visivi, pietre e cortecce di rovere, legni combusti e soffi atmosferici, pagine fitte di scrittura innalzate a pale d'altare, ora ci guardano come specole dalle quali l'artista piacentino, ancora, cerca la sua definizione di opera d'arte.

Le tele esposte qui a Pavia sono il frutto di uno sguardo nel medesimo tempoampio e concentrico, precisamente di quella qualità di sguardo che muove da una certa spiritualità e trova corrispondenza nei fatti della natura.

Del resto, sono temi (temi, più che soggetti) di un atlante composito, insieme vasto e circoscritto, prelevati per esserne emblemi, ovvero geroglifici di un racconto che passa su una strada di lato, secondaria strada, tra il tempo di oggi e quelli di ieri.

La componente spirituale dell'opera di Bertuzzi è complessivamente molto intensa -- non dobbiamo dimenticare che ogni gesto, ogni progetto messo in discussione è pur sempre riconducibile al quadro simbolico di un'armonia originaria tra uomo e cosmo andata in frantumi con la "civiltà culturale". La tradizione contadina è lo strumento con cui l'artista intende rianimare quel composto di pratiche comuni e materiali, quali la preparazione e la conservazione dei cibi, l'adattamento agli elementi fisici del paesaggio appenninico, le feste che cadenzano il lunario secondo una religiosità intrisa di paganesimo -- nelle quali, tuttavia, vita animale e vita inanimata sono contrappunto l'una all'altra ed entrambe ricongiunte in un luogo che non sapremmo definire meglio che luogo dell'anima.

Oggi, in questa mostra, l'inanimato circostante ha preso il posto del campionario di gesti, bestie e umane pratiche, addensandosi intorno a una serie di grandi particolari. Di vuoti pieni che portano in qualche modo a sprofondare in una geografia di anse, terre e mari: com'è la superficie a strati della corteccia; di secche, regolari incisioni sul corpo vecchio del legno; dell'infinito cosmo precipitato intorno al nucleo della pietra, che così isolata è la meteorite millenaria di un mondo andato in pezzi. Persino la riproposizione delle mezzene di maiale dopo la macellazione -- che sono l'eco di un lavoro lontano realizzato alla fine degli anni Settanta, dove la macellazione era dall'artista rivissuta come il rito profano della vita che si riproduce nella morte -- persino le mezzene esposte come le metà della stessa mela, si ricongiungono ora alle scansioni della materia minerale e vegetale richiamandone le scansioni grafiche, l'espressione del corpo, la gravità, l'ingombro, la durezza. Per tutti questi anni la materia solida evocata, e dall'artista rimessa in gioco allo stato grezzo, ha costituito il portato di una memoria comune intorno cui passato e presente si ritrovano sul crocevia di un disegno.

Le opere di questa mostra indicano un capitolo relativamente recente dell'opera di Bertuzzi, legato a sua volta, da una parte, agli sviluppi propri del disegno, che ha i suoi esempi nella corteccia "geografica" o nella pietra-altare; e dall'altra parte al recupero di una certa pura visibilità, se così possiam dire, abbreviando, che si manifesta in due variazioni: la prima, in superfici coperte di una scrittura minima senza suono, liturgia manuale, più che altro, che il disegno riproduce come una pianta rizomatica: di questo segno senza lettura (o leggibile solo nella sua germinazione) infinitamente ripetuto sono composte le ultimissime opere, tra le quali la pala d'altare realizzata per Mentone -- Percezione dell'anima, 2020-21 -- e lo studio dedicato alla Madonna Sistina di Raffaello dell'estate scorsa.

La seconda variazione ha prodotto tele vaporizzate, atmosferizzate, che suggeriscono costellazioni fuori telescopio o nebbie o neve. Ovvero luoghi dello spazio che si situano all'opposto rispetto a quelli cui eravamo stati abituati da Bertuzzi, e nei quali è impossibile trovare un centro fisico. Opere in cui il niente si vede, che possiamo percorrere assecondando, crediamo, il desiderio di infinito o di eternità che ora s'appaga, ma provvisoriamente, non vedendo pur vedendo. L'imperfetto nero, l'imperfetto vuoto in cui si è franta la materia da cui siamo partiti.
 

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