Franco Piccinini, Un segno nel cielo

UN SEGNO NEL CIELO

 Sta suscitando un certo interesse mediatico (ma molto inferiore al dovuto) la vicenda dei due astronauti americani sospesi in orbita sopra le nostre teste, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Partiti il 5 giugno 2024, dovevano restare lassù per una missione di otto giorni e poi tornare a terra. Purtroppo lo Space Shuttle, cioè la navetta spaziale che fa la spola tra la ISS e la base del centro spaziale Kennedy a Cape Canaveral in Florida, non riesce a partire. A questo punto sembra che la Boeing, l’industria a cui è affidata la costruzione degli shuttle negli USA, non sia in grado di riparare i guasti. Come risultato, i due astronauti Suni Williams e Butch Wilmore dovranno restare in orbita fino a febbraio 2025, quando la navicella Crew Dragon (costruita dalle industrie di Elon Musk) sarà in grado di raggiungerli e li riporterà a casa.

Prima di proseguire, a costo di imitare la Settimana Enigmistica, lasciatemi dire: “Forse non tutti sanno che…

  1. Visto che l’America non ne è in grado, i rifornimenti alla ISS arrivano tramite navette russe, in base a un accordo sempre più a rischio, dati i pessimi rapporti tra Putin e l’attuale amministrazione americana.
  2. Questi razzi spaziali non partono dalla Russia, ma dal cosmodromo di Baikonur, che si trova nel Kazakistan: è ancora sotto amministrazione russa, ma appartiene a una repubblica indipendente, staccatasi dalla Federazione Russa,  che potrebbe sabotare gli accordi da un momento all’altro.
  3. Mentre il programma spaziale americano subisce continui rinvii e ritardi, i cinesi hanno appena esplorato la faccia nascosta della Luna con una sonda robotica e già si preparano a insediarvi una base permanente (come aveva da tempo progettato la NASA), includendovi una catapulta elettromagnetica (altro progetto NASA di vecchia data). Ciò consentirebbe di spedire materiali sulla Terra con poca spesa, in particolare l’elemento Elio3, necessario per i reattori a fusione nucleare (per i quali la Cina è oggi all’avanguardia, con l’aiuto degli scienziati russi)[1].
  4. La Boeing non è nuova a discutibili comportamenti in fatto di progettazione e manutenzione dei suoi velivoli, a partire dagli aeroplani di linea (soprattutto i 747); purtroppo è semplicemente troppo grande e potente perché venga sottoposta a sanzioni efficaci.
  5. Elon Musk è un geniale imprenditore nel campo delle innovazioni tecnologiche, ma è anche un sudafricano di idee piuttosto razziste, decisamente poco accettabili nell’epoca del “politically correct”. Spesso ha avuto scontri con le amministrazioni USA, in buona parte per le sue idee, ma anche per problemi di tasse e di guerra commerciale di tipo protezionistico contro le sue aziende. Come conseguenza, potrebbe in futuro abbandonare il progetto Space X.
  6. La lunga permanenza nello spazio in assenza di gravità comporta una serie di danni all’organismo umano: le ossa si decalcificano, le masse muscolari si atrofizzano, il cuore perde forza dato che è meno sollecitato. Al loro ritorno, gli astronauti rimasti molto a lungo in orbita hanno bisogno di un lungo periodo di riabilitazione, che può durare mesi o anche anni. Dipende dalla durata della permanenza in caduta libera e dall’età degli astronauti.
  7. All’epoca di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli USA aveva indicato lo spazio come la nuova frontiera da conquistare. Ricordate l’incipit di Star Trek? “Spazio. Ultima frontiera…”. Quella famosa frase nasceva proprio da lì. L’intento di Kennedy era d’ispirare nuova fiducia nel suo popolo. Ma era solo propaganda? Io credo che può esserlo stata, ma solo in parte. Comunque sia, ha funzionato e ci ha portato fino allo sbarco sulla Luna e alla esplorazione di Marte. Oggi però non vedo più alcuna differenza tra politici Democratici e Repubblicani: nessuno di loro sembra minimamente interessato a spendere più soldi nel programma spaziale. Preferiscono investirli in nuove guerre e nuove armi. E l’effetto dei tagli prima o poi si fa sentire. Diceva infatti mia nonna: “chi più spende, meno spende”. Già, ma come lo spieghi a un politico che ha davanti a sé un orizzonte di pochi mesi, prima della prossima tornata elettorale? E a un contribuente americano medio, che non vuole tirare fuori i soldi delle tasse nemmeno per un sistema sanitario decente?

Alla possibilità di realizzare la conquista di questa nuova, grande frontiera gli scrittori di fantascienza ci hanno creduto davvero, nella stragrande maggioranza dei casi. Per approfondirne gli aspetti letterari, potete consultare il mio articolo sull’argomento [http://biblioteche.comune.pv.it/site/home/news/le-esplorazioni-lunari-nell-immaginario-scientifico.html]. Alla luce degli ultimi avvenimenti, devo constatare che forse sono stato un po’ ottimista a credere che torneremo presto lassù.

Naturalmente, avendo riflettuto a lungo su ciò che poteva comportare un viaggio nello spazio, molti autori sapevano che i rischi erano alti e che qualche astronauta prima o poi avrebbe perso la vita. Ma in generale immaginavano che queste morti fossero legate ad atti eroici e al sacrificio personale in nome di un ideale. Vorrei citare un paio di esempi, tra i tanti[2]. Il primo è il romanzo di Martin Caidin Naufragio (Marooned, 1966 – tr. Nino Marino). Caidin era uno scrittore, ma anche una vera autorità nel campo dell’aeronautica e dell’aviazione: era inoltre un pilota e partecipò a diverse imprese, dalla guerra di Corea alla trasvolata atlantica con una fortezza volante B-17. Nella sua narrativa era molto pignolo per i dettagli tecnici, incorporava i progressi tecnologici prevedibili ed esaminava le ripercussioni politiche e sociali di queste innovazioni (sotto questo aspetto il suo lavoro è simile a quello di Michael Crichton). In questo romanzo, subito trasformato in un film di successo, si descriveva con accuratezza il salvataggio in orbita di un astronauta americano che non riusciva a ritornare sulla Terra, chiuso in quella specie di bara volante che era la capsula Mercury[3]. Oggi quella descrizione appare profetica, ma in questo caso i ruoli erano capovolti ed erano i russi a tentare di portare soccorso con una capsula Vostok. Nonostante la sua formazione militare, Caidin era un progressista e credeva molto nella distensione fra i blocchi occidentale e sovietico.

Come secondo esempio, propongo il racconto di Robert A. Heinlein Accelerazione massima (Sky lift, 1953 – noto anche come Accelerazione 3 gUn uomo in meno – trad. Hilia Brinis). In questo breve racconto c’è una piccola comunità scientifica insediata su Plutone, che ha bisogno di una banca del sangue per debellare una devastante epidemia. Dall’orbita terrestre viene inviata una nave di soccorso che però, per arrivare in tempo, deve viaggiare costantemente ad un'accelerazione pari a tre gravità e mezzo per più di nove giorni, vista la grande distanza di Plutone. Oggi gli astronauti sono davvero sottoposti a una simile accelerazione di gravità, ma solo per poco tempo durante il decollo. Nessun essere umano potrebbe sopportare i 3G molto a lungo. Infatti i due uomini dell’equipaggio sono sottoposti a un terribile stress fisico, che causa la morte del comandante e riduce il pilota a un idiota invalido. Nonostante tutto, egli riesce a portare a termine la missione, salvando così duecentosettanta persone. Il racconto, reso suggestivo dalla concretezza del dramma e dall’accuratezza scientifica (ricordo che nel 1953 nessun essere vivente era ancora andato nello spazio), è ispirato alle storie e alle poesie di Rudyard Kipling, uno degli autori di riferimento per Heinlein (ex – ufficiale di marina), e tratta dell’importanza della libertà individuale e dell’autosufficienza, ma anche dell’obbligo che gli individui hanno nei confronti delle loro società.

Tuttavia, c’è un piccolo gruppo di opere che, di tanto in tanto, ha messo in dubbio questa ottimistica visione. Dopo tutto, gli scrittori di science fiction sono abituati a ragionare lucidamente e a valutare i pro e i contro di ogni idea che espongono. Vediamo allora qualche esempio scelto di segno opposto.

Il primo che mi viene in mente è Eclissi totale (Total Eclipse, 1974) di John Brunner. In questo romanzo, una spedizione scientifica è riuscita a raggiungere un pianeta della stella Sigma Draconis, distante 18 anni luce. Mentre aspettano l’arrivo dei rifornimenti dal pianeta madre, i ricercatori sono impegnati a capire perché una civiltà molto progredita, che ha lasciato come spettacolare reliquia il più grande telescopio mai costruito, sia misteriosamente scomparsa dopo un periodo di esistenza molto breve: tremila anni. E la soluzione risiede probabilmente in una delle risposte più frequenti al cosiddetto “paradosso di Fermi”. Rispondendo a un giornalista che lo interrogava sugli avvistamenti UFO, Enrico Fermi si chiedeva: se l’universo è pieno di alieni, dove sono tutti quanti? Ebbene, una delle possibili risposte, forse la più frequente, è che non si vedono proprio perché, una volta arrivati al nostro stesso livello di civiltà, si autodistruggono e si estinguono. A conferma delle peggiori paure degli scienziati, arriva dalla Terra non l’aiuto che attendevano, bensì un alto ufficiale con un esercito di droni, che ha il solo compito di smantellare la base di ricerca e di riportare tutti indietro, mettendo fine a quella che, sulla Terra, è considerata una spesa del tutto inutile. L’amara conclusione è riassunta da John Brunner con i versi di Milton: “Buio, buio, buio in seno al fulgore meridiano / irrimediabilmente buio, eclissi totale / senza alcuna speranza del giorno!” (da “Samson Agonistes”, 1671). Per questo finale qualcuno ha accusato Brunner di “disfattismo”; alla luce degli avvenimenti più recenti direi che si tratta piuttosto di realismo. Il buio di Milton è quello che oscura la scienza, è il sonno della ragione che genera mostri.

Il secondo esempio è il breve e commosso racconto di Thomas M. Disch Polvere di luna, profumo di fieno e materialismo dialettico (Moondust, the Smell of Hay, Dialectical Materialism, 1971 – tr. Gigi Coretti). Scritto tre anni dopo lo sbarco di Apollo 11, ci fa assistere in presa diretta alla morte per assideramento del primo russo arrivato sulla Luna. A differenza dei personaggi eroici di Kipling o di Heinlein, qui il cosmonauta si rende conto che non esiste nessuna buona ragione per morire: né il patriottismo, né il marxismo, né il senso del dovere che lo ha spinto lassù. Disch allude qui a una teoria allora di gran moda, ma che non ha mai trovato alcun riscontro nei fatti. I fratelli torinesi Judica Cordiglia, radioamatori, tra il 1960 e il 1961 annunciarono di aver captato comunicazioni dallo spazio di cosmonauti russi lanciati nello spazio ben prima di Gagarin e mai rientrati. Può darsi che sia tutta un’invenzione: di queste presunte missioni umane pre-Gagarin, l’Unione Sovietica non ha mai confermato l'esistenza (ovviamente) e anche personaggi famosi come il radioastronomo britannico sir Bernard Lovell, direttore dell’osservatorio di Jodrell Bank, hanno sempre negato la circostanza. Dopo la caduta del regime sovietico e la successiva apertura al pubblico degli archivi dell'Agenzia Spaziale Russa, non si è trovata alcuna traccia di voli spaziali umani prima di Gagarin. Tuttavia il dubbio rimane e, come abbiamo visto, cose simili sono accadute e accadono. Anche agli Americani, con la differenza che oggi è molto più difficile tenerle nascoste. Basti pensare all’esplosione dopo il decollo dello Space Shuttle Challenger nel 1986 e al successivo disastro dello Shuttle Columbia, al suo rientro nel 2003. Entrambi finirono con la perdita dei loro equipaggi di sette persone e il secondo pose virtualmente la parola “fine” al progetto degli shuttle.

Quest’ultimo incidente (a cui non furono estranei alcuni “tagli”, per fare economia sui rivestimenti termici del veicolo) è stato ampiamente anticipato, in maniera quasi profetica, dal racconto del poeta e scrittore John M. Ford, intitolato Il segno nel cielo, (There Will Be a Sign, 1978 - tr. Delio Zinoni). Ford ipotizzava (o forse è meglio dire sperava) che l’esplosione di una navicella in orbita lasciasse un segno indelebile non solo nel cielo notturno, ma anche nelle coscienze degli americani. Questo avrebbe dovuto spingere a un rinnovato entusiasmo verso le imprese spaziali. Sono successi davvero eventi del genere, otto anni e quindici anni dopo, ma non sembra che abbiano ottenuto l’effetto sperato. Se mai il contrario.

Auguriamoci solo che da qui al prossimo febbraio non accada qualcos’altro e che i due astronauti sospesi lassù possano davvero tornare a casa.  

Franco Piccinini

 

 

[1] Per un’adeguata descrizione dell’argomento rivolgersi al romanzo di Robert A. Heinlein “La Luna è una severa maestra” (The moon is a harsh mistress – 1967).

[2] Come altri esempi avrei potuto citare: La donna che pilotò “L’Anima” e Il cervello bruciato di Cordwainer Smith, Com’era lassù? di Edmond Hamilton, Morte di un astronauta di Walter M. Miller, Caleidoscopio di Ray Bradbury, Vortice di relitti di James White, Jay Score e Una voce dal nulla di Eric Frank Russel. E mi sono limitato a quelli che più mi hanno colpito.

[3] Il film è Abbandonati nello spazio del 1969 con Gregory Peck; ma non vanno dimenticati anche Apollo 13 con Tom Hanks e Space cowboys di e con Clint Eastwood.


Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi "Ritorno a Liberia" (tratto dal suo primo racconto), "Il tempo è come un fiume", il saggio "Scienza medica e fantasie scientifiche" (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio "Mondi Sotterranei" per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l'editore Solfanelli e con Delos Digital. E' un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi: